Cosa sono le bioplastiche?
Le bioplastiche sono materiali alternativi alla plastica di origine sintetica, ma derivate da fonti rinnovabili di biomassa come grassi e oli vegetali, amido di mais, paglia, trucioli di legno, rifiuti alimentari, acido lattico e a volte rifiuti plastici.
E’ corretto affermare che le bioplastiche sono alternative ecologiche alla plastica comune.
Le plastiche comuni a base di combustibili fossili derivano da petrolio o gas naturale, sono riciclabili ma non biodegradabili ne compostabili. Mentre alcune bioplastiche sono biodegradabili se lasciate in natura, ma la maggior parte di esse sono compostabili, sempre se correttamente smaltite nell’umido e successivamente sottoposte al processo di compostaggio.
Essendoci molte forme di bioplastica in commercio, è bene sapere che circa il 70% di queste non sono biodegradabili se lasciate in natura. Ed è altrettanto importante sapere che anche queste rilasciano le famose microplastiche.
Tra gli svantaggi della bioplastica questa non può essere utilizzata per imbottigliare bibite gassate, neanche per confezionare alimenti sottovuoto, e la maggior parte non resiste a temperature superiori a 45°.
Nonostante abbiano ancora dei limiti dal punto di vista ambientale e funzionale, restano comunque più ecologiche rispetto a quelle di origine fossile.
Quali sono le bioplastiche?
- PET
- PE
- PA
- PEF
- PUR
- PBAT
- PBS
- PLA
- PHA
- AMIDO
Differenza tra bioplastica bio-based e biodegradabile
Poniamo attenzione a questa differenza, in quanto la parola “bioplastica” può trarre in inganno, facendoci credere che siano di origine organica:
Bio-based: il termine bio-based sta a significare che il materiale, o il prodotto, è in parte derivato dalla biomassa vegetale, ad esempio mais, canna da zucchero o cellulosa.
Biodegradabile: la biodegradazione è un processo chimico durante il quale i microrganismi di cui è composto un materiale si trasformano in sostanze naturali come acqua, biossido di carbonio e compost (senza l’ausilio di additivi artificiali).
Dagli scarti vegetali alle bioplastiche ecologiche (video)
Il mercato delle bioplastiche
L’utilizzo di bioplastiche è in forte crescita soprattutto nell’ultimo decennio, visto lo scottante tema dell’inquinamento ambientale causato dalla plastica.
Il riciclo della plastica è un business in cui molte aziende e investitori si sono cimentati, ma pur essendo la “vecchia plastica” una grande risorsa da sfruttare, la produzione di bioplastica biodegradabile se lasciata in natura, è sicuramente una delle soluzioni al problema dell’inquinamento da plastica.
Nel 2016 le bioplastiche rappresentavano circa l’ 1,7% del mercato globale dei polimeri. Nello specifico, ecco come si presentava il mercato delle bioplastiche nel 2016:
Le bioplastiche hanno moltissime applicazioni, anche se molte meno rispetto a lei. Sicuramente buste per la spesa, bicchieri posate e piatti, imballaggi, sono le applicazioni più comuni.
Nella moda, dopo il rapido sviluppo di fibre tessili sintetiche nate grazie al riciclo della plastica come Econyl e NewLife, oggi ivediamo nuove fibre artificiali composte da bioplastiche utilizzate per creare borse e accessori.
La bioplastica è davvero sostenibile?
Il primo interesse dell’umanità verso le bioplastiche era incentrato sull’ottenimento di biopolimeri economici e ad alte prestazioni, senza prestare molta attenzione alla sostenibilità del fine vita.
Nonostante questo limite, la “prima ondata” di bioplastiche ha innegabilmente svezzato la dipendenza dell’industria dell’imballaggio dal petrolio: tendono comunque ad essere più ecologiche delle loro controparti a base di petrolio, semplicemente perché evitano le materie prime non rinnovabili.
Data la quantità di rifiuti generata dall’industria globale, utilizzare imballaggi a base biologica eliminerebbe un’enorme porzione di inquinamento da plastica.
Partiamo però dal presupposto che un imballaggio “davvero sostenibile” deve soddisfare tre criteri:
- Dovrebbe essere prodotto da materie prime rinnovabili.
- Dovrebbe essere compostabile.
- Dovrebbe essere riciclabile: una volta fuso, avrà prestazioni simili a quelle dei materiali vergini.
Tuttavia, lo sviluppo di questo biopackaging da sogno sembra essere davvero complesso. Dei circa 2 milioni di tonnellate di bioplastiche prodotte ogni anno, pochissime soddisfano tutte queste condizioni.
Esempi di bioplastica
Di seguito indicheremo alcuni esempi di bioplastiche di ultima generazione, aggiornando costantemente questa sezione man mano che ne scopriremo di nuove.
Una bioplastica sostenibile a base di zucchero
I ricercatori dell’Università di Birmingham insieme ai ricercatori della Duke University hanno sviluppato una bioplastica a base di zucchero.
I ricercatori hanno sviluppato due tipi di materiali che possono sostituire la plastica e che vengono comunemente chiamati bioplastica (plastica di origine organica):
- uno simile alla gomma
- uno resistente ma flessibile
Le prestazioni di queste bioplastiche fatte con lo zucchero sono uguali o superiori a quelle delle plastiche di origine petrolifera o anche di altre bioplastiche, pur essendo biodegradabili e facili da riciclare.
Diversamente da altre plastiche, le proprietà meccaniche di queste nuove bioplastiche non vengono alterate dopo il loro riciclo, il che le rende utilizzabili più volte.
In alternativa alla plastica derivata dal petrolio, le bioplastiche ottenute da fonti vegetali rinnovabili, come l’amido di mais o la canna da zucchero, sono già sul mercato da diverso tempo e stanno diventando sempre più popolari.
Tuttavia, la maggior parte di queste si biodegradano solo negli impianti di compostaggio industriale e devono essere riciclate separatamente da altre materie plastiche.
Il problema è che la pratica della raccolta differenziata non viene effettuata in tutti i paesi.
Inoltre, le proprietà meccaniche di molte bioplastiche alternative alla plastica, non corrispondono a quelle delle plastiche tradizionali derivate dal petrolio, afferma Matthew Becker, professore di chimica alla Duke University, che ha guidato il nuovo lavoro con Andrew Dove, professore di chimica dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito.
“Molti ricercatori hanno utilizzato zucchero e materie prime di provenienza sostenibile per sintetizzare materiali, tuttavia, le proprietà sono spesso scadenti e quindi non utili nell’applicazione commerciale.” afferma il dott. Matthew.
In questo caso i ricercatori hanno ricavato due diversi composti organici da alcoli di zucchero e li hanno usati come “mattoni” per la loro bioplastica. I due composti contengono strutture ad anello fatte degli stessi atomi, ma le loro proprietà differiscono in base a come gli atomi sono disposti l’uno rispetto all’altro.
Secondo lo studio, “la plastica ricavata da uno dei composti è rigida ma malleabile come la plastica comune e resistente quanto la plastica high-tech, come il Nylon-6. L’altra mescola fornisce plastiche altrettanto resistenti ma ha anche proprietà elastiche migliori delle gomme conosciute”.
Entrambe le bioplastiche mantengono le stesse proprietà dopo essere stati riscaldati e riformati utilizzando il tipico processo di riciclaggio utilizzato per la plastica tradizionale.
Un enorme vantaggio: consentirebbe alle aziende che si occupano di riciclare rifiuti di utilizzare lo stesso processo usato per la plastica, il che velocizzerebbe l’immissione nel mercato di queste bioplastiche.
Prove preliminari in laboratorio hanno anche dimostrato che le nuove plastiche sono in grado di biodegradarsi, anche se lentamente, quando rilasciate nell’ambiente.
“Le proprietà meccaniche e di degradazione esibite dai materiali sono regolabili, il che sarà importante per molte delle applicazioni a cui ci rivolgiamo“, afferma Becker “questi materiali potrebbero essere applicati a una serie di applicazioni sostitutive, incluso l’imballaggio alimentare“.
La struttura complessa e lo stereoisomerismo che si trovano nei composti naturali forniscono un vantaggio strategico nello sforzo di creare bioplastiche sostenibili e allo stesso tempo meccanicamente robuste come la plastica di origine petrolifera.
Dobbiamo entrare nel tecnico per spiegare la caratteristica fondamentale di questa nuova bioplastica a base di zucchero: le aziende che vorranno acquistarla (quando entrerà in commercio, perché al momento ancora non lo è) potranno personalizzarla per renderla idonea all’utilizzo che vorrarno farne; ad esempio se dovrà diventare una shopper, un giocattolo, un contenitore, etc.
La differenza nel comportamento di deformazione fondamentale tra i materiali a base di isoidide e isomannide, così come le loro eccezionali caratteristiche meccaniche di per sé, testimoniano il potenziale di sfruttare la stereochimica per dirigere le interazioni supramolecolari nelle materie prime monomeriche di origine biologica.
Tuttavia, la caratteristica più notevole di questo sistema è la distinta differenza di proprietà derivante dal legame idrogeno stereochimicamente distinto in materiali altrimenti identici dal punto di vista compositivo e stechiometrico.
Con questo studio è stata mostrata la capacità di sintonizzare o disaccoppiare in modo indipendente, il tasso di degradazione idrolitica dalle proprietà termomeccaniche, controllando anche queste caratteristiche attraverso semplici strategie di copolimerizzazione o miscelazione.
In poche parole, questa manipolazione delle proprietà non ha eguali nel portafoglio delle bioplastiche attualmente presenti nel mercato e offre lo sviluppo di bioplastiche con ottimizzazione delle proprietà su richiesta da parte degli utilizzatori, resa possibile dalla manipolazione della stereochimica.
Ci auguriamo quindi di vederla presto in commercio.
Acque reflue: da rifiuto a risorsa per creare bioplastica
Kasra Khatami Mashhadi, ricercatrice sul riciclaggio dei materiali presso KTH, sta sviluppando un modo per trasformare i residui delle acque reflue in bioplastiche, utilizzando i batteri. I batteri nelle acque reflue agiscono infatti come “fabbriche di bioplastica naturale”.
“La maggior parte delle persone pensa alle acque reflue come a qualcosa che puzza e fa male, ma noi le usiamo per creare materiali utilizzabili“, afferma Kasra Khatami Mashhadi.
Negli impianti di depurazione le acque reflue vengono trattate e depurate, e rimangono scorie che possono essere utilizzate per creare nuovi prodotti. I batteri nelle scorie hanno una proprietà unica che i ricercatori vogliono sfruttare.
“Possiamo utilizzare le acque reflue delle famiglie e delle industrie per produrre bioplastiche con l’aiuto dei nostri amici batteri“, afferma Kasra Khatami Mashhadi che sta studiando come la produzione di bioplastiche delle acque reflue possa diventare più efficiente.
Attualmente, questo residuo degli impianti di depurazione viene spesso riciclato per creare biogas per gli autobus e letame per i campi. Ma al KTH, Kasra Khatami Mashhadi sta studiando come i batteri delle acque reflue possano diventare più efficienti nella produzione di bioplastica.
I batteri immagazzinano energia sotto forma di sostanze chimiche che i ricercatori possono estrarre per convertire in bioplastiche.
Le bioplastiche a base di materiali organici possono essere create da prodotti residui come acque reflue o rifiuti alimentari e sono meno dannose per la natura, poiché possono decomporsi più facilmente, evitando la microplastica residua.
“Ci vogliono oltre 300 anni prima che la plastica ordinaria si decomponga. Ma le bioplastiche vengono scomposte nell’ambiente in due mesi e non danneggiano l’ambiente”, aggiunge Kasra Khatami Mashhadi.
“Invece di buttare via le scorie, le ricicliamo e cerchiamo di ricavarne il più possibile. È sia materiale economico che disponibile in grandi quantità in tutto il mondo”.
Le bioplastiche hanno il potenziale per essere applicate in numerosi settori, dagli imballaggi ai materiali medici. Finora sono prodotte in questo modo solo su piccola scala, ma Kasra Khatami Mashhadi crede che presto potremmo vedere la loro produzione anche su scala più ampia.
Shellwork Shellmer: la bioplastica davvero sostenibile
La startup britannica Shellworks sta definendo nuovi standard per l’industria degli imballaggi ecologici ed in particolare delle bioplastiche. Mira infatti a realizzare prodotti che possano sostituire completamente le materie plastiche derivate dal petrolio.
Il materiale di punta di Shellworks, chiamato Shellmer, offre (forse) la bioplastica più sostenibile sul mercato. Risponde a tutti e tre i criteri per la “bioplastica da sogno”.
Questo materiale è così ecologico che può essere lasciato nel terreno come fertilizzante alla fine della sua vita.
Shellmer è costituito dal biopolimero Chitosano, che è chimicamente simile alla cellulosa. Il chitosano è derivato da una sostanza naturale chiamata chitina che si trova in molti animali, in particolare nei gusci dei crostacei – Shellworks estrae questa sostanza dai rifiuti del pesce, il che significa che anche la materia prima è circolare.
Shellworks è stata fondata nel 2020 dai laureati dell’Imperial College: Insiya Jafferjee, Amir Afshar ed Edward Jones. I tre si erano incontrati sul programma del master Innovation Design Engineering offerto congiuntamente dal Royal College of Art e dall’Imperial College. Hanno condiviso insieme una passione per l’ingegneria e il design, in particolare all’interno delle tecnologie bio-based.
L’idea di creare un’azienda è nata quando i tre studenti hanno deciso di affrontare il problema dell’inquinamento degli oceani: sviluppando una macchina per produrre cosmetici e imballaggi alimentari rispettosi dell’ambiente utilizzando gusci di pesce e aceto.
Shellworks è nata quando la loro innovazione ha vinto la sfida del catalizzatore Venture 2020. L’azienda rimane nella sua fase di proof-of-concept, dopo aver appena terminato una residenza di sei mesi per lo sviluppo di startup presso Workerversity.
Tuttavia, hanno attratto un totale di 1,4 milioni di dollari di investimenti e hanno già immesso sul mercato il loro primo lotto di prodotti.
Shellworks realizza anche contenitori compostabili, personalizzabili e pronti all’uso, per rossetti, creme, cibo e oli. Tutti i loro prodotti sono realizzati internamente presso la loro struttura a Londra.
Le loro bioplastiche rivaleggiano con le plastiche convenzionali per offrire vari gradi di spessore, rigidità, opacità e colori. Shellworks offre coloranti naturali che funzionano con i loro materiali a base biologica in una moltitudine di sfumature, dai gialli luminosi ai blu e ai neri vibranti.
Il loro Instagram cura una serie accattivante di vasi multicolori, borse e pellicole da imballaggio, nonché campioni sperimentali che mostrano le diverse trame che possono essere ottenute con Chitosan. Con questa enfasi sul design, non sorprende che Shellworks attiri l’attenzione.
L’obiettivo dichiarato di Shellworks è quello di “rendere i rifiuti di plastica un ricordo del passato“. Nel perseguimento di questo obiettivo, stanno definendo nuovi standard di sostenibilità nel settore delle bioplastiche.
La chitina offre infatti una nuova entusiasmante soluzione per la prossima generazione di plastica a base biologica, soprattutto perché abbondante. Dopo la cellulosa, è il biopolimero più diffuso al mondo: oltre alle conchiglie, si trovano negli esoscheletri degli insetti e nella parete cellulare dei funghi.
Esistono vari tipi di chitina che differiscono nelle loro proprietà meccaniche a seconda della loro fonte naturale e di come viene purificata.
La ricerca sulla chitina e il chitosano è in corso da sette decenni, ma il materiale non è stato commercializzato fino a tempi recenti. La scala di produzione è ancora piccola: nel 2019 sono state prodotte circa 210 tonnellate di chitosano rispetto ai 2,1 milioni di tonnellate di bioplastiche prodotte nel mondo.
Tuttavia, il mercato di questo biopolimero è pronto per crescere rapidamente.
Le applicazioni per questo materiale non si esauriscono nel confezionamento. È stato trasformato in polveri, fibre, film, perline, spugne, gel e soluzioni. È già utilizzato nel trattamento delle ferite per le sue proprietà antimicrobiche ed emostatiche. Questa sostanza offre un valido sostituto per molte applicazioni in cui utilizziamo materie plastiche a base di petrolio.
Shellworks è forse la prima azienda a portare la chitina fuori dal laboratorio e immetterla nel mercato del biopackaging.
Ora stanno sviluppando macchine in grado di elaborare la sostanza su larga scala. La loro pipeline di ricerca e sviluppo è piena di nuovi entusiasmanti prodotti: blister antibatterici, sacchetti per alimenti e vasi per piante autofertilizzanti.
Per “intaccare” davvero l’industria della plastica, il team riconosce che devono “inventare un ecosistema completamente nuovo“, una grande sfida per una piccola startup.
Cosa c’è di sbagliato nelle bioplastiche?
Per definizione, tutte le bioplastiche soddisfano il primo criterio per la plastica sostenibile ideale: la rinnovabilità. Tuttavia, molte di queste non hanno prestazioni migliori delle loro controparti sintetiche a base di petrolio, soprattutto quando si parla di biodegradabilità.
Metà del mercato delle bioplastiche è infatti costituito da prodotti non completamente biodegradabili. Questi includono polietilene (PE), polipropilene (PP), poliammide (PA) e polietilene tereftalato (PET) a base biologica.
Altre bioplastiche, come il PLA, sono biodegradabili ma solo in condizioni specifiche: devono essere elaborate in strutture appositamente attrezzate che si trovano solo in poche città del mondo.
Con un accesso limitato a servizi di trattamento specialistico, i materiali a base biologica tendono a finire nell’ambiente naturale dove rappresentano gli stessi rischi della plastica a base di petrolio. Mentre le bioplastiche che raggiungono strutture specializzate richiedono ancora processi di decomposizione termica che consumano enormi quantità di energia.
Poi c’è la riciclabilità. I biopolimeri sul mercato come bio-PE, bio-PP, bio-Pet e bio-PA possono essere prodotti da fonti rinnovabili, ma condividono la stessa struttura chimica e composizione delle plastiche a base di petrolio: ciò significa che non possono essere riutilizzati.
La compostabilità ha una pretesa di sostenibilità più forte della biodegradabilità.
Si riferisce a materiali che possono essere scomposti dai microbi comuni in composti non tossici. Ciò supera il problema posto dalle plastiche anche completamente biodegradabili che si degradano in composti tossici e persistenti.
Domande frequenti
Cerchi ulteriori informazioni sulle bioplastiche? Poni le tue domande usando il form sottostante.
Dove posso acquistare le bioplastiche?
Vesti la natura ha creato una tabella con più di 40 materiali sostenibili, le loro rispettive applicazioni in ambito tessile, ed i loro di fornitori (anche per piccole quantità). Per accedere alla tabella ti chiediamo di donare un piccolo contributo economico alla nostra associazione. Clicca qui per ulteriori informazioni.
La bioplastica rilascia micro-plastiche se lasciata in natura?
Si, tutte le bioplastiche le rilasciano. In alcuni casi queste sono dannose per l’ambiente, in altri casi sono elementi organici che non trasportano sostanze tossiche pericolose per l’ambiente. Dipende dal tipo di bioplastica di cui parliamo.