Agricoltura Intensiva, Pesticidi e Inquinamento Ambientale

Trattore spruzza pesticidi in campo agricolo

Indice dei contenuti

Cos’è l’agricoltura intensiva?

L’agricoltura intensiva è un sistema di intensificazione e meccanizzazione agricola che mira a massimizzare i rendimenti dei terreni disponibili attraverso vari mezzi, come l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici.

Questa intensificazione e meccanizzazione viene applicata anche all’allevamento di bestiame, con miliardi di animali come mucche, maiali e polli, tenuti al chiuso in quelli che sono diventate le “fattorie industriali” (o allevamenti intensivi).

Le pratiche agricole intensive producono cibo più economico in rapporto alle dimensioni del terreno, il che contribuisce a nutrire una popolazione umana in costante espansione. Oggi però, l’agricoltura intensiva è diventata la più grande minaccia per l’ambiente quando si parla di riscaldamento globale, portando anche alla comparsa di nuovi parassiti e alla ricomparsa di parassiti precedentemente considerati ‘sotto controllo’, senza dimenticarci che essa è responsabile di gran parte della deforestazione mondiale.

L’agricoltura intensiva uccide insetti e piante utili, degrada e impoverisce il suolo stesso da cui dipende, crea deflusso inquinante e intasa i sistemi idrici, aumenta la suscettibilità alle inondazioni, provoca l’erosione genetica delle colture e delle specie di bestiame in tutto il mondo, diminuisce la biodiversità, distrugge gli habitat naturali e, secondo il WWF, “le pratiche agricole, il bestiame e lo sgombero dei terreni per l’agricoltura intensiva contribuiscono in modo significativo all’accumulo di gas serra nell’atmosfera”.

Tuttavia, alcuni aspetti dell’agricoltura intensiva hanno contribuito ad alleviare il cambiamento climatico, ad esempio incrementando i raccolti in terreni sottoperformanti, una pratica che impedisce lo sgombero/deforestazione di ulteriori terreni. Questo dimostra che ci sono sia pro che contro nell’agricoltura intensiva, ma rispetto agli svantaggi, i vantaggi sono sicuramente minori.

Il mondo sta passando da un’era di abbondanza alimentare a un’era di scarsità. Il 40% della terra del pianeta è dedicata alla produzione alimentare umana – pensate che nel 1700 era solo del 7%. Poiché la domanda mondiale di cibo aumenterà del 70% entro il 2050, nutrire la popolazione in forte ascesa può e deve essere fatto adottando un approccio alla produzione alimentare sostenibile e che possa ridurre il suo impatto sull’ambiente, sul benessere degli animali e sulla salute umana.

“Ogni giorno, quasi 16.000 bambini muoiono per una causa legata alla fame, 1 bambino ogni 5 secondi. Le persone soffrono la fame perché il sistema alimentare globale che abbiamo costruito è fuori controllo: dà priorità a profitti aziendali storicamente senza precedenti, mentre non riesce a nutrire persone e custodire la nostra terra e le risorse idriche per le generazioni future” ~ PAN: Nutrire il mondo

Con la popolazione umana che cresce a un tasso di circa 78 milioni di persone all’anno, con oltre 7 miliardi di persone che vivono oggi sul pianeta e stime che raggiungono tra 8 e 11 miliardi entro il 2050 e ben 15 miliardi entro il 2100, l’umanità sta affrontando la più grande sfida della sua storia per mantenere una base sana e produttiva con cui nutrirsi.

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L’uso di pesticidi e fertilizzanti nell’agricoltura intensiva

Sebbene l’uso di pesticidi e fertilizzanti abbia i suoi vantaggi come ad esempio:

  • controllare o uccidere potenziali organismi e insetti patogeni, erbe infestanti e altri parassiti
  • aumentare la resa per ettaro
  • far risparmiare tempo al produttore e abbassare i costi del cibo per il consumatore

Ci sono comunque molti svantaggi nell’uso di queste sostanze come:

  • la graduale erosione del suolo
  • la minaccia di tossicità per l’uomo e altri animali
  • la maggior resistenza dei parassiti e l’uccisione involontaria dei nemici naturali degli stessi
  • l’inquinamento atmosferico e delle falde acquifere

Oltre il 98% degli insetticidi spruzzati e il 95% degli erbicidi, raggiungono una destinazione diversa dalle loro specie bersaglio, comprese le specie non bersaglio, l’aria, l’acqua, i sedimenti del fondo ed il cibo di cui ci nutriamo.

Lavoratore indiano spruzza pesticidi nel campo senza mascherina
Secondo la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, 9 delle 12 sostanze chimiche organiche più pericolose e persistenti sono pesticidi.

Inoltre, poiché gli insetti e le erbacce sviluppano una resistenza ai pesticidi, gli agricoltori sono costretti a utilizzare sostanze chimiche sempre più tossiche per controllare queste “super erbacce” e “superbatteri”.

Conosciuta come la “trappola dei pesticidi”, gli agricoltori rimangono intrappolati sul tapis roulant, poiché ogni anno sono costretti a spendere di più in pesticidi solo per mantenere la perdita di raccolto da parassiti ad un tasso standard.

Una breve paresenti sugli allevamenti intensivi

Gli allevamenti intensivi, noti anche come CAFO (Concentrated Animal Feed Operations), non sono ciò che si vede tipicamente pubblicizzato sui prodotti, con immagini di animali felici che vagano liberamente nei campi coltivati ​​sotto il sole splendente in infiniti campi verdi lussureggianti.

È tutt’altro.

Gli allevamenti intensivi stipano animali, come mucche, maiali e galline, a migliaia in fitti capannoni, sporchi e senza finestre dove sono confinati in casse di gestazione, gabbie metalliche, lotti di terra arida o altri crudeli sistemi di reclusione.

Mucche in un allevamento intensivo
Come spiega la PETA “Questi animali non alleveranno mai le loro famiglie, non si radicheranno nel terreno, costruiranno nidi o faranno qualsiasi cosa che sia naturale e importante per loro. La maggior parte non sentirà nemmeno il sole sulla schiena né respirerà aria fresca fino al giorno in cui vengono caricati sui camion diretti al macello.

Si sente sempre più spesso parlare di sovrapascolamento, cioè del consumo intensivo di piante da parte degli animali che estraggono una resa insostenibile di biomassa floreale da un ecosistema, e che si verifica in genere per un periodo di tempo prolungato e senza un periodo di recupero sufficiente.

Il sovrapascolamento è comunemente causato da una densità di animali insostenibile per il terreno, una mancanza di rotazione dei pascolatori, ed il pascolo in tempi inappropriati in relazione al ciclo di produttività della flora.

Il pascolo eccessivo si applica alla sovrappopolazione di animali selvatici o domestici, ma è comunemente usato in riferimento ai pascoli domestici allevati dall’uomo, come bovini, ovini e caprini, ed è un fattore determinante del cambiamento climatico e principale causa di erosione e desertificazione in tutto il mondo, con un terzo di tutti i pascoli sovrasfruttati.

Il pascolo eccessivo causa infatti l’erosione del suolo, riduce l’utilità, la produttività e la biodiversità del terreno e può portare alla compattazione del suolo, alla riduzione della produttività del pascolo a lungo termine, alla perdita di suolo superficiale e all’aumento della frequenza e dell’intensità del deflusso superficiale dell’acqua e delle inondazioni.

Per ulteriori informazioni su questo argomenti leggi il nostro articolo ALLEVAMENTI INTENSIVI, ANIMALI COME MACCHINE DA RIPRODUZIONE.

L’agricoltura biologica può e deve nutrire il mondo

Un report composto da quasi 300 studi mostra come l’agricoltura biologica su piccola scala può nutrire il mondo. Le aziende agricole biologiche nei paesi in via di sviluppo hanno superato le pratiche convenzionali del 57% e l’agricoltura biologica potrebbe produrre cibo sufficiente, su base pro capite, per fornire da 2.640 a 4.380 calorie per persona al giorno, un valore molto più alto rispetto all’assunzione di calorie suggerita ad adulti sani.

E’ quindi da considerarsi un’alternativa all’agricoltura intensiva.

Donna apre frigo per prendere frutta mentre mangia un cornetto
Lo studio afferma che “con i rapporti di rendimento medio, abbiamo modellato l’approvvigionamento alimentare globale che potrebbe essere coltivato in modo biologico sull’attuale base di terreno agricolo”

Le stime del modello indicano che i metodi biologici potrebbero produrre cibo a sufficienza su base pro capite globale per sostenere l’attuale popolazione umana e potenzialmente una popolazione ancora più numerosa, senza aumentare la base dei terreni agricoli e riducendo al contempo gli impatti ambientali dannosi dell’agricoltura intensiva.

Inoltre, un rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani afferma che “l’agricoltura ecologica può raddoppiare la produzione alimentare in 10 anni”.

Possiamo confermare che anche la coltivazione del cotone biologico ha un impatto sociale e ambientale di gran lunga inferiore rispetto al cotone tradizionale e lo stesso vale per la lana biologica.

Monocultura e agricoltura intensiva

La monocultura, che è una pratica di agricoltura intensiva di un tipo di coltura su una vasta area di terreno, è al centro della produzione alimentare industriale. Il raccolto scelto, più comunemente mais, grano, soia, cotone o riso, viene in genere ripiantato nella stessa area anno dopo anno senza l’introduzione di un raccolto diverso, il che crea un sistema con pochissima diversità.

I vantaggi della monocoltura includono la limitazione degli sprechi derivanti da raccolte e piantagioni inefficienti, riduzione della concorrenza tra le piante, controllo di organismi non redditizi e possibilità di standardizzare la produzione.

Tuttavia, l’agricoltura monocoltura esaurisce rapidamente i nutrienti nel suolo, fa molto affidamento su sostanze chimiche, come fertilizzanti sintetici e pesticidi e può portare a una più rapida diffusione delle malattie in cui un raccolto uniforme è suscettibile a un agente patogeno.

Secondo uno studio pubblicato su Nature, piantare una miscela di ceppi di colture nello stesso campo è efficace per combattere le malattie. In uno studio in Cina, la semina di diverse varietà di riso nello stesso campo ha aumentato i raccolti dell’89%, in gran parte a causa della diminuzione del 94% dell’incidenza delle malattie, che ha anche reso meno necessario l’uso di pesticidi.

Irrigazione artificiale nell’agricoltura intensiva

L’irrigazione è l’applicazione artificiale di acqua nel terreno per vari scopi, come la coltivazione di colture, il mantenimento dei paesaggi e l’uso in aree aride e durante periodi di piogge inadeguate.

Uno schema di irrigazione tipico dell’agricoltura intensiva è quello di attinge all’acqua da un fiume o estrarre l’acqua sotterranea distribuendola sull’area da irrigare, il che, secondo la FAO, può causare il degrado del terreno attraverso la salinizzazione, l’alcalinizzazione, il ristagno e l’acidificazione del suolo, infrastrutture comunitarie più deboli, nonché ridurre le condizioni socio-economiche aumentando l’incidenza di malattie nell’uomo legate all’inquinamento delle falde acquifere.

Irrigazione artificiale a spruzzo di un campo coltivato
Inoltre, l’irrigazione può creare degrado ecologico poiché riduce la biodiversità, e danneggia gli ecosistemi a valle a causa della ridotta quantità e qualità dell’acqua. E’ responsabile dell’esaurimento delle acque sotterranee, riduce anche il flusso di base e le zone umide.

Secondo la FAO, “L’aspetto positivo dell’irrigazione è che, intensificando la produzione di cibo e foraggio nelle terre più favorevoli, può consentire a un paese di ridurre l’eccessiva pressione sui terreni marginali ora coltivati ​​a pioggia o pascoli”.

Questo perché il passaggio all’agricoltura intensiva, per agricoltori che vivono da generazioni su terre bagnate dalla pioggia, potrebbe essere un cambiamento sociale difficile da affrontare. Tuttavia, sarà inevitabile nelle aree in cui il degrado del suolo è ormai fuori controllo.

Laddove esiste un’opportunità per lo sviluppo dell’irrigazione, questa può servire come alternativa costruttiva alla carestia o alla migrazione di massa. L’uso dell’irrigazione artificiale può avere impatti sia positivi che negativi sull’ambiente.

Dipende da noi far si che sia sostenibile e che possa ridurre gli impatti negativi.

Agricoltura “taglia e brucia”

L’agricoltura taglia e brucia, che viene utilizzata da 200 a 500 milioni di persone in tutto il mondo, comporta il taglio e l’incendio di foreste o boschi per creare nuovi campi. È principalmente associata alle foreste pluviali e utilizzato dalle comunità tribali per l’agricoltura di sussistenza.

Dopo il taglio e la bruciatura, l’area sgomberata, nota come “swidden”, viene utilizzata per un periodo di tempo relativamente breve e quindi abbandonata per tornare ad uno stato più naturale. Tuttavia, in molti casi, la perdita del suolo e l’erosione dello stesso sono così elevate che il tempo di recupero può richiedere millenni.

Deforestazione per agricoltura intensiva con albero tagliando in primo piano
L’agricoltura taglia e brucia può essere sostenibile se praticata da piccole popolazioni in grandi foreste, come lo è stata per circa 12.000 anni, dove i campi hanno tempo sufficiente per riprendersi prima di essere nuovamente tagliati, bruciati e coltivati, il che consente alle persone di coltivare in luoghi dove di solito non è possibile e fornisce alle comunità una fonte di cibo e reddito.

Questa tecnica non è sostenibile oltre una certa densità di popolazione perché, senza gli alberi, la qualità del suolo diventa presto troppo scarsa per sostenere le colture, il che porta gli agricoltori a dover passare a nuove foreste vergini per ripetere il processo.

Nei tropici, tagliare e bruciare produce quasi un quarto delle emissioni di gas serra del mondo. Pratiche irresponsabili di tagliare e bruciare da parte di una grande quantità di persone possono portare a una moltitudine di problemi ambientali:

  • Perdita temporanea o permanente della copertura forestale, che si verifica quando ai campi non viene concesso il tempo sufficiente per la ricrescita della vegetazione;
  • Erosione del suolo, che si verifica inevitabilmente, ma soprattutto quando la tecnica viene utilizzata su campi situati l’uno accanto all’altro e porta a carenze idriche e perdita di nutrienti;
  • Desertificazione, che è causata da campi che perdono la loro fertilità e capacità di sostenere qualsiasi tipo di crescita;
  • Perdita di biodiversità, che si verifica distruggendo o allontanando varie piante e animali tagliando e bruciando il loro habitat, che si trova tipicamente nelle regioni tropicali dove la biodiversità è estremamente alta e può addirittura portare all’estinzione di una specie;

Nel 2004, solo in Brasile, 500.000 piccoli agricoltori disboscavano ciascuno una media di un ettaro di foresta all’anno.

“Abusiamo della terra perché la consideriamo una merce che ci appartiene. Quando vedremo la terra come una comunità a cui apparteniamo, potremmo iniziare a usarla con amore e rispetto” ~ Aldo Leopold

Agricoltura intensiva e inquinamento

Negli ultimi 100 anni l’agricoltura intensiva ha triplicato i livelli di fosforo e raddoppiato i livelli di azoto nell’ambiente rispetto ai livelli naturali.

La maggior parte di fosforo e azoto utilizzati per coltivare i raccolti si riversa nei fiumi e nei vapori o viene rilasciato nell’atmosfera. Ad esempio, solo il 20% dell’azoto utilizzato in agricoltura è effettivamente produttivo, mentre il resto si fa strada nell’ambiente.

Tutti questi nutrienti aggiunti nell’acqua alimentano enormi fioriture di alghe, comprese le alghe tossiche, che possono degradare o distruggere le barriere coralline e le erbe marine che forniscono un habitat prezioso per le specie marine, uccidono i pesci e succhiano l’ossigeno dall’acqua quando le alghe muoiono portando le “zone morte” dove i pesci e altre forme di vita marina non possono sopravvivere.

Su scala globale, l’eutrofizzazione dei sistemi costieri è passata da meno di 75 sistemi nel 1960 a più di 800 sistemi odierni. Di questi 800 sistemi, più di 500 hanno subito la deossigenazione o sono diventate zone morte.

L’agricoltura intensiva è senza dubbio una delle principali cause di eutrofizzazione.

L’eutrofizzazione si traduce anche in perdite economiche per le industrie del turismo, della pesca e delle operazioni di acquacoltura. Ad esempio, nel 2009, una massiccia fioritura di alghe tossiche al largo della costa del Maine ha portato alla chiusura di banchi di molluschi commerciali, che ha paralizzato un’industria da 50 milioni di dollari.

Il Millennium Ecosystem Assessment prevede che le pratiche agricole intensive rilasceranno gli input di azoto di quasi un altro 50% entro il 2050. Per proteggere e mantenere risorse idriche sane e produttive per le generazioni future, sarà quindi fondamentale concentrarsi sullo sviluppo di politiche agricole sostenibili che possano aiutare a raggiungere la sicurezza alimentare senza compromettere la qualità dell’acqua.

“Il mondo sta passando da un’era di abbondanza alimentare a un’era di scarsità. Nell’ultimo decennio, le riserve mondiali di grano sono diminuite di un terzo. I prezzi alimentari mondiali sono più che raddoppiati, innescando una corsa alla terra in tutto il mondo e innaugurando una nuova geopolitica di cibo. Il cibo è il nuovo petrolio. La terra è il nuovo oro. Questa nuova era è quella dell’aumento dei prezzi del cibo e della diffusione della fame “ ~ Lester Brown.

Concludiamo questo articolo con un testo tratto da uno studio dell’Università del Minnesota, e che dovrebbe farci riflettere attentamente:

Per la prima volta abbiamo dimostrato che è possibile sia nutrire un mondo affamato che proteggere un pianeta minacciato. Attualmente, le terre agricole ed i terreni dei ranch coprono quasi il 40% della superficie terrestre – il più grande uso di terra del pianeta. Anche se l’agricoltura moderna ha incrementato la resa dei raccolti, gli aumenti tra il 1985 e il 2005 sono stati meno della metà di quanto comunemente riportato, e stanno rallentando.“”Poiché un terzo delle colture viene utilizzato per l’alimentazione del bestiame, i biocarburanti e altri prodotti non alimentari, il numero di ‘calorie che riducono la fame’ per acro coltivato è molto inferiore a quello che potrebbe essere.

Tutto questo ha un prezzo ambientale molto alto. Gli esseri umani hanno già disboscato il 70% di tutte le praterie, la metà delle savane, il 45% delle foreste temperate e il 27% delle foreste tropicali. Inoltre, l’intensificazione dell’agricoltura – cambiamenti nell’irrigazione, nell’uso di fertilizzanti e altre pratiche volte ad aumentare la resa per ettaro – ha aumentato l’inquinamento dell’acqua, la scarsità d’acqua locale e l’uso di energia.

Le attività agricole come lo sgombero dei terreni, la coltivazione del riso, l’allevamento del bestiame e l’uso eccessivo di fertilizzanti costituiscono il maggiore contributore di gas serra nell’atmosfera, rappresentando circa il 35% del totale

Fonte: https://www.everythingconnects.org/intensive-farming.html

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