Inquinamento Ambientale Industria Tessile

Indice dei contenuti

Impatto ambientale dell’industria tessile

Secondo alcuni studi l’industria tessile è seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale. Ogni anno con il passare “delle mode” i nostri armadi si riempiono di metri e metri di indumenti realizzati con tessuti nocivi per l’ambiente e per la nostra salute.

E’ bene ribadire che l’inquinamento ambientale in continuo aumento mette in pericolo il futuro stesso dell’umanità, ed è di conseguenza un problema da risolvere il prima possibile:

INQUINAMENTO PM10 OZONO ITALIA 01

Il consumo di acqua dolce dell’industria tessile

Indubbiamente ci vuole molta acqua per produrre tessuti, oltre ad altrettanta terra per coltivare cotone e altre fibre naturali.

Si stima che il settore tessile abbia utilizzato 79 miliardi di metri cubi di acqua nel 2015, mentre il fabbisogno dell’intera economia dell’UE è stato pari a 266 miliardi di metri cubi nel 2017. Secondo le stime (spesso variabili) per realizzare una sola t-shirt di cotone occorrono circa 2.700 litri di acqua dolce, sufficienti a soddisfare il fabbisogno di una singola persona per ben 2,5 anni.

In pratica per ogni t-shirt immessa nel mercato rinunciamo a 2 anni e mezzo di acqua, proprio mente diversi popoli muoiono di sete.

Settore tessile e consumo di acqua dolce

L’inquinamento delle acque causato dall’industria tessile

Alcune statistiche stimano che il settore tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento delle acque, un inquinamento dovuto soprattutto ai prodotti di tintura e finissaggio. Inoltre, per coltivare le fibre naturali (soprattutto il cotone) vengono utilizzati fertilizzanti, erbicidi e pesticidi che penetrano nel terreno inquinando le falde acquifere.

Anche il lavaggio industriale e quello casalingo non sono da meno. Si stima che il lavaggio dei nostri indumenti rilasci nell’oceano circa 0,5 milioni di tonnellate di microfibre all’anno, tra cui molte di queste sintetiche (le famose microplastiche – un singolo carico di biancheria in poliestere può scaricare 700.000 fibre microplastiche che finiscono nella catena alimentare).

Allo stesso tempo, queste microfibre fungono da “taxy” per le sostanze chimiche, che decomponendosi in acqua non fanno altro che peggiorare il problema dell’inquinamento idrico causato dall’industria tessile.

Settore tessile e dispersione delle microfibre nelle acque

Le emissioni di gas serra dell’industria tessile

Si stima che il settore tessile sia responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra, più dei voli internazionali e delle spedizioni marittime messe insieme. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di tessili effettuati all’interno della sola Unione Europea nel 2017 hanno generato circa 654 kg di emissioni di CO2 per singola persona.

Numeri davvero preoccupanti, soprattutto perché sottovalutati dalla maggior dei consumatori, i quali nella maggior parte dei casi ne sono del tutto ignari.

Settore tessile e emissioni di gas serra

L’accumulo di rifiuti causato dall’industria tessile

Il modo in cui le persone si liberano dei vestiti indesiderati è cambiato rispetto a qualche decennio fa, prima si tendeva alla donazione tra famiglie e amici, oggi nella migliore delle ipotesi vengono gettati nella raccolta indifferenziata.

Dal 1996, la quantità di vestiti acquistati nell’Unione Europea è aumentata del 40% a seguito del forte calo dei prezzi riconducibile al modello di produzione della Fast Fashion, che tra le altre cose ha drasticamente ridotto la durata di vita dei vestiti. Gli europei utilizzano quasi 26 chili di tessuti e ne scartano più di 11 chili ogni anno. Gli abiti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma la maggior parte vengono inceneriti o gettati in discarica (87%).

A livello globale meno dell’1% dei vestiti viene riciclato, in parte a causa di una tecnologia ancora inadeguata, spesso abbastanza costosa, ma più che altro per “il vizio” ed “il bisogno” dei brand di moda di miscelare tessuti tra di loro, come le miste di cotone e poliestere. Un tessuto miscelato non può essere riciclato.

Inquinamento industria tessile: i tessuti inquinanti

L’inquinamento dell’industria tessile parte dalla produzione di fibre, filati e tessuti, ma prima di parlare del come, vediamo le conseguenze per noi che li indossiamo.

sostanze tossiche negli indumenti

La scienza non è ancora in grado di stabilire i danni causati dall’assimilazione, da parte dell’uomo, delle sostanze tossiche utilizzate da decenni nell’industria tessile. Sappiamo che circolano nel nostro sangue, che fanno parte del DNA umano, ma a quanto pare il nostro organismo è in grado di assorbirle come accade con il mercurio presente nei pesci.

A meno di particolari patologie allergiche o dermatiti, indossiamo vestiti contaminati per tutta la vita, ignari delle conseguenze, ma stando alla scienza, queste conseguenze saranno visibili tra 50 anni e a pagarle saranno le future generazioni che potrebbero subire serie mutazioni genetiche.

Centinaia di sostanze tossiche sono utilizzate nelle fasi di coltivazione delle piante da cui vengono estratte le fibre naturali, soprattutto se parliamo del cotone: una delle fibra naturale più utilizzate dall’industria tessile e dalle persone. Ancor più sostanze tossiche sono utilizzate nelle successive fasi di produzione: estrazione, filatura, tintura, lavaggi, stampe, etc.

Queste sostanze prima danneggiano irreparabilmente fauna e flora, poi entrano di prepotenza nella nostra vita quotidiana attraverso i prodotti che acquistiamo e di cui facciamo largo uso per vestirci.

Tessuti inquinanti colorati e arrotolati
Acqua, aria, animali e vegetali trasportano queste sostanze tossiche in tutto il mondo anche grazie alle lavatrici domestiche, causando l’inquinamento ambientale su scala globale.

Non basta essere a migliaia di KM dal luogo dove avviene la produzione, poiché acquistando prodotti provenienti da tutto il mondo li indossiamo quotidianamente e li laviamo nelle nostre case:

  • La maggior parte delle sostanze tossiche utilizzate dall’industria tessile viene riversata nelle acque a causa di depuratori poco funzionali o addirittura assenti.
  • L’uso eccessivo di risorse naturali come terra e acqua rompono l’equilibrio ecologico.
  • Lo sfruttamento di animali è spesso accompagnato da pratiche di agricoltura intensiva che danneggiano l’ambiente irreparabilmente.
  • Le sostanze chimiche utilizzate per candeggiare e colorare i tessuti possono compromettere l’ambiente e la salute della popolazione, tenendo presente che la tintura dei tessuti può rappresentare la maggior parte di acqua utilizzata per la produzione di un indumento.
  • Durante la tinteggiatura vengono rilasciati nell’ambiente circa il 10-15% di coloranti e sostanze chimiche utilizzate per fissare i coloranti -spesso metalli pesanti- che finiscono nelle fogne, nei fiumi e nei mari, inquinando le falde acquifere potabili e successivamente assimilati dal nostro organismo semplicemente bevendo acqua dal rubinetto.

L’inquinamento delle acque dovuto agli scariche di acque reflue dell’industria tessile è un fattore che preoccupa la comunità scientifica e che dovrebbe preoccupare anche noi consumatori.

Quali sono le sostanze tossiche presenti nei vestiti?

  • Ammine aromatiche

Cancerogene derivanti da azo-coloranti, bandite in Europa a partire da inizio anni 90 ma che ancora si ricercano con assiduità e che talvolta ci fanno la sorpresa di essere presenti. E’ un elenco di 24 composti cancerogeni regolamentato al momento nella maggior parte del mondo (Cina compresa).

  • Alchilfenoli etossilati

In gergo chimico si indicano con l’acronimo APEO, gli etossilati, e AP, i non etossilati. Sono tensioattivi non ionici usati fino al 2007 in maniera massiva e che sono fortemente inquinanti per la fauna acquifera. Regolamentati solo in Europa (dalla Cina e da altri paesi arrivano spesso brutte sorprese).

  • Metalli pesanti

Possibili contaminanti dovuti alle tinture e/o alle vie di conservazione delle fibre. Ci sono circa 9 specie metalliche presenti negli indumenti di scarsa qualità e dubbia provenienza.

  • Dimetilfumarato

Forte antimuffa usato per preservare le fibre naturali durante lunghi periodi di stoccaggio. Ha il brutto vizio di essere un forte allergizzante.

  • Clorofenoli

Rientrano nella famiglia dei biocidi/pesticidi. Proprio per questa funzione possono trovarsi su fibre naturali in particolare cellulosiche. Talvolta sono scorie di produzione di taluni coloranti.

  • Ftalati

Composti usati come plastificanti per PVC (danno morbidezza allo strato in PVC). Alcuni di questi sono mutageni. Sono regolamentati in Europa, in America e Cina (solo per prodotti per bambini).

  • Coloranti

Allergenici e/o cancerogeni, regolamentati solo in Europa (alcuni), sono un elenco di coloranti di varia natura.

Per ulteriori informazioni sulle sostanze tossiche presenti nei nostri indumenti leggi questo articolo.

Quando la moda è sostenibile?

Come riconoscerla?

Dove acquistarla?

Inizia il tuo percorso!

di

Logo Vesti la natura verde

Industria tessile: l’inquinamento causato dai tessuti naturali

I tessuti naturali sono riciclabili e biodegradabili e questo è un gran vantaggio per l’ambiente. Il tessuto naturale più utilizzato dall’industria tessile è il cotone, la quale pianta detiene il primato per il maggior utilizzo di sostanze tossiche durante la sua coltivazione.

Senza contare che, anche se sembrerà assurdo, ogni anno migliaia di persone perdono la vita a causa della coltivazione intensiva del cotone: questa pianta occupa gran parte dei terreni agricoli nei luoghi dove è possibile coltivarlo, molti di questi vengono “strappati” con la forza agli abitanti locali che non possono più coltivare i prodotti alimentari necessari alla sopravvivenza.

Inoltre, erbicidi, defolianti, pesticidi e altre sostanze tossiche utilizzate per incentivare la crescita o aiutare la raccolta, aumentano di gran lunga il tasso di inquinamento ambientale causato dall’industria tessile e contribuiscono a intossicare le popolazioni locali.

La maggior parte di queste sostanze creano danni ambientali nel momento stesso in cui vengono utilizzate, attraverso l’assorbimento da parte del terreno e la successiva infiltrazione nelle falde acquifere: l‘inquinamento delle acque potabili causato dall’industria tessile è sicuramente una delle conseguenze più gravi per l’umanità.

Una parte di queste sostanze viene trattenuta dalle fibre tessili e vi resta per l’intera vita dell’indumento. In parte verranno assimilate dal nostro organismo attraverso il contatto diretto con la pelle, e in parte nuovamente disperse nell’ambiente a seguito dei vari lavaggi.

Abbiamo visto come la coltivazioni intensiva del cotone sia una delle principali cause dell’inquinamento ambientale causato dall’industria tessile, ma spendiamo due parole su quello che noi definiamo inquinamento sociale:

Il cotone viene coltivato soprattutto tramite pratiche di agricoltura intensiva e questo comporta l’utilizzo di grandi quantità di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti, che inquinano l’ambiente e nel peggiore dei casi fanno “morire” la terra, ma non solo.

Gli agricoltori nei paesi in via di sviluppo non sono attrezzati con maschere o attrezzature di sicurezza adatte per utilizzare queste sostanze chimiche, molti di loro vivono a diretto contatto con le terre contaminate, coltivano e mangiano del cibo inquinato, si ammalano di continuo, muoiono.

Nonostante la raccolta del cotone sia spesso automatizzata, l’industria tessile continua ad essere fortemente dipendente dalla manodopera a basso costo.

Parliamo anche della lana, il tessuto naturale di origine animale per eccellenza: tutti sappiamo che gli allevamenti intensivi di animali destinati al macello, alla produzione di latte, carne, o lana, sono una delle principali cause di effetto serra e di conseguenza del riscaldamento globale. A questo aggiungiamo la crudeltà con la quale vengono allevati gli animali, ed i metodi poco ortodossi con i quali “strappiamo” le risorse di cui abbiamo bisogno a queste povere creature.

Lino e canapa sono invece delle fibre tessili naturali meno dannose per l’ambiente, sia per la quantità commercializzata nettamente inferiore rispetto al cotone e alla lana, sia perché l’utilizzo di sostanze tossiche è limitata rispetto a queste ultime.

Leggi la nostra guida alle fibre naturali.

Industria tessile: l’inquinamento causato dai tessuti artificiali

I tessuti artificiali sono spesso biodegradabili, ma difficilmente riciclabili. Nonostante ciò li riteniamo la scelta migliore dal punto di vista ambientale dopo i tessuti biologici, poiché i più moderni hanno raggiunto un buon livello di sostenibilità.

L’inquinamento ambientale dell’industria tessile causato dai tessuti artificiali si è ridotto drasticamente negli ultimi anni, merito della scienza, ma anche delle pressioni internazionali effettuate da onlus come GreenPeace e dai cittadini che le sostengono: le persone iniziano a far sentire la propria voce, spingendo i marchi di moda verso l’innovazione tessile sostenibile.

L’uomo sembra nato per distruggere, ma siamo bravi nel creare e poi risolvere i problemi. Problemi che potremmo evitare di risolvere tra 30/40 anni, effettuando oggi una scelta semplice e consapevole: guardare le etichette prima di acquistare un prodotto.

I tessuti artificiali sono composti da una parte di materia prima organica, miscelata a sostanze chimiche per creare2 una forma di viscosa. Ne esistono in commercio diverse tipologie derivate soprattutto da cellulosa vegetale o scarti dell’industria alimentare (arance, mais, latte, etc).

Leggi la nostra guida alle fibre artificiali.

Industria tessile: l’inquinamento causato dai tessuti sintetici

La maggior parte dei tessuti sintetici sono riciclabili, ma non biodegradabili visto che derivano dal petrolio. E’ scontato affermare che petrolio e derivati sono una piaga per l’ecosistema, ma l’impatto ambientale dell’industria tessile deriva per lo più dai due materiali sintetici più usati al mondo:

  • La produzione di nylon crea ossido di azoto, un gas a effetto serra 310 volte più potente dell’anidride carbonica.
  • Il poliestere usa enormi quantità di acqua per il raffreddamento ed i lubrificanti utilizzati nella sua produzione sono una grande fonte di contaminazione.

Indubbiamente, questi e altri materiali sintetici ci consentono di acquistare capi di abbigliamento low cost, visti i costi di produzione ridotti e la facilità con cui possono assumere forme e caratteristiche tecniche. E alcuni sono diventati fondamentali per il fit, basti pensare ai tessuti elastici.

I problemi ambientali causati dalla loro produzione, quelli che vengono successivamente a causa del rilascio di microplastiche ad ogni lavaggio, e quelli dello smaltimento a fine vita, passano facilmente in secondo piano.

Ma l’industria tessile può realizzare tessuti sintetici senza danneggiare l’ambiente, visto che è perfettamente in grado di sviluppare materiali alternativi dal ridotto impatto ambientale.

Il problema sono i costi, perché noi consumatori non siamo ancora pronti a “spendere di più” per salvaguardare l’ambiente, di conseguenza i marchi di moda continueranno ad utilizzare tessuti inquinanti finché noi non cambieremo le nostre abitudini di acquisto.

Leggi la nostra guida alle fibre sintetiche.

Industria tessile: l’inquinamento causato dai filati

L’elemento base da cui parte il tutto è il filo e non l’insieme di intrecci che con maestria, fantasia ed esperienza, i tessitori di ogni parte del globo, in base alla loro secolare esperienza, riescono a far sposare in un matrimonio tessile.

Se considerassimo il tessuto come materia prima, allora il pizzaiolo dovrebbe ritenere che non è la farina l’elemento iniziale per le sue creazioni, ma bensì il passaggio successivo, ossia l’impasto dove farina ed acqua hanno già creato quell’intreccio che poi, arricchendosi di altri meravigliosi e gustosi ingredienti, diventa quella pietanza tanto gradita agli italiani.

La materia prima è infatti il filato, non il tessuto..

Stabilito questo, Vi propongo un’analisi sull’impatto ecologico che hanno alcune delle più comuni fibre tessili. A mio avviso, si tratta di un’analisi che presterà il fianco ad innumerevoli critiche, ma che potrebbe nuovamente aprire un dibattito aperto e costruttivo.

Le fibre tessili che troverete indicate sono quelle tradizionali e quindi non quelle riciclate, biologiche, modificate, ecc. Le fibre più comunemente utilizzate (i dati di produzione dell’ultimo triennio parlano molto chiaro) e più comunemente lavorate nel settore tessile / abbigliamento.

Troverete anche l’elastano: sì perchè questa materia prima, inconsapevolmente, la vestiamo nella stragrande maggioranza degli articoli d’abbigliamento che indossiamo. Esiste la versione biodegradabile, ma risulta introvabile (come d’altro canto quasi tutte le fibre di importazione).

Seguendo uno degli argomenti che ha portato nelle vie di Milano circa 50.000 persone a manifestare contro il cambiamento climatico (anche se personalmente ritengo che si è trattato dell’occasione più concreta per sensibilizzare ognuno di noi a un cambiamento generale nei nostri sistemi di vita un po’ troppo scellerati), mi auguro che questa immagine inviti a una riflessione e a qualche ragionamento in merito:

Impatto ambientale dei filati nel tessile

Industria tessile e fast fashion

La fast fashion nasce negli anni novanta e inizialmente aveva come scopo quello di riprodurre i famosi ‘Trend di stagione’ visti nelle passerelle di alta moda, ma ad un costo più basso e accessibile alla massa: invogliando i consumatori a seguire e acquistare la moda del momento, non tenendo conto della qualità del vestiario e della sua longevità.

Oggi le cose sono un pò cambiate, la fast fashion si è evoluta in ultra fast fashion anche proponendo prodotti di discreta qualità. Aggiornando le vetrine dei negozi il più frequentemente possibile, arrivando a produrre fino a 50 micro collezioni in un anno rispetto alle classiche due collezioni a cui eravamo abituati.

L’industria tessile è in grado di produrre in tempi estremamente ristretti, e i brand di moda che seguono questo trend (soprattutto le grandi catene di distribuzione come H&M, Zara, etc) cambiano continuamente la merce esposta nei negozi, eliminando le classiche collezioni Autunno/Inverno e Primavera/Estate, così da attrarre i clienti ad acquistare capi di abbigliamento sempre al passo con i tempi.

Problemi ambientali causati dall'industria tessile

Ma se la richiesta di abbigliamento sostenibile aumenterà nei prossimi anni (come ci auguriamo) i marchi di moda dovranno adattarsi al mercato, abbandonando il modello di produzione della fast fashion.

Se vuoi contribuire a questa evoluzione “prendi il vizio” di leggere le etichette dei prodotti prima di acquistare e cerca delle certificazioni tessili.

Il consumo di risorse dell’industria tessile

Nel 2008 (Stati Uniti) la produzione tessile è stata stimata in 60 miliardi di KG di tessuto e la stima dell’energia e dell’acqua necessarie per produrre questa quantità di tessuto è stata veramente alta:

  • 1.074 miliardi di kWh di elettricità;
  • 132 milioni di tonnellate metriche di carbone;
  • Tra i 6 ed i 9 trilioni di litri d’acqua.

Chiaramente la produzione dell’industria tessile non riguarda solo l’abbigliamento, ma anche lenzuola e coperte, tende e divani, e altri materiali utilizzati comunemente nelle case, come tovaglie e panni in microfibra. Nel 2006 la produzione di questi tessuti ha contribuito a circa 1 tonnellata delle emissioni di CO2 su 19.8 totali.

Questo è certamente uno dei motivi che ci spinge a sponsorizzare la diffusione della moda sostenibile. La base di partenza sono i tessuti ecologici, quindi tutti quei materiali certificati a basso impatto ambientale, i quali da subito potrebbero sostituire tutti i “vecchi tessuti” meno sostenibili, grazie alla rapida evoluzione di quella che definiamo l’innovazione tessile.

Purtroppo, nonostante internet e tutte le informazioni che ci offre, è davvero difficile valutare l’impronta di carbonio di ogni singolo tessuto, quindi quel che possiamo fare (per ora) è basarci sulle certificazioni tessili. Sappiamo che esistono in commercio tessuti certificati, li consideriamo ecologici, e li preferiamo a quelli che non dispongono di certificazioni.

Moda e sostenibilità dovrebbero andare di pari passo, acquistare abbigliamento sostenibile equivale a ridurre l’impatto dell’industria tessile sui cambiamenti climatici.

Il consumo di acqua dell’industria tessile e il programma Sweden Textile Water Initiative (STWI)

Lo Sweden Textile Water Initiative (STWI) è un programma volto a migliorare le prestazioni ambientali delle industrie che riforniscono i più grandi marchi di moda.

“Quando si uniscono alla rete STWI, i marchi si uniscono al più grande programma globale con esperienza nel lavoro e nelle catene di approvvigionamento. Offriamo business intelligence, networking e diventiamo parte della prima rete globale di fabbriche per migliorare l’efficienza delle risorse. Insieme ai marchi membri costruiamo buone relazioni, buona cittadinanza e un migliore impatto” Sweden Textile Water Initiative

Logo STWI

Il programma Sweden Textile Water Initiative crea linee guida per ottenere una maggiore sostenibilità nell’industria produttiva.

Partendo dal presupposto che linee guida comuni per tutti aprano la strada a un vero cambiamento, queste forniscono ai produttori del settore tessile istruzioni chiare su come lavorare per migliorare l’efficienza idrica, la prevenzione dell’inquinamento idrico e la gestione delle acque reflue nei processi produttivi:

Programmi come lo STWI sono davvero utili in questo settore, visto che l’industria tessile è considerata come il terzo utilizzatore di acqua a livello globale (dopo l’industria petrolifera e quella della carta).

Si stima infatti che l’industria tessile utilizzi attualmente circa 1,5 trilioni litri di acqua l’anno, cioè il 2% di tutta l’estrazione di acqua potabile e 1/10 dell’acqua utilizzata da tutte le industrie mondiali.

A questo, ci sembra doveroso aggiungere che tutt’oggi circa 750 milioni di abitanti nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile.

L’impatto dell’industria tessile sull’acqua visto con i numeri

L’industria tessile fa affidamento sull’acqua durante tutto il processo di produzione di tessuti e indumenti, ad esempio occorrono in media 10.000 litri d’acqua per coltivare appena 1 chilogrammo di cotone grezzo.

Ovviamente i processi di lavorazione di un prodotto tessile sono innumerevoli:

Tutti i processi di produzione del tessile

Ad esempio, i fili sono preparati per la tessitura attraverso un processo chiamato “sizing”, in pratica i filati vengono rivestiti con prodotti chimici per ridurne la rugosità. Il sizing consente il processo di tessitura e migliora il comportamento di lavorazione dei filati, risulta quindi un’operazione indispensabile.

Purtroppo però, gli agenti chimici devono essere rimossi con un lavaggio, il che provoca un enorme consumo d’acqua e allo stesso tempo un notevole inquinamento: le acque reflue vengono scaricate in mare o nei fiumi, spesso senza alcun filtraggio delle sostanze nocive per l’ambiente, gli animali e la salute umana:

  • il 20% dell’inquinamento delle acque proviene da trattamenti tessili e tinture;
  • 22 mila litri di acqua inquinata viene viene riversata nei fiumi ogni giorno solo in Balgladesh;
  • 200 mila tonnellate di coloranti vengono immessi nell’ambiente attraverso le acque reflue del tessile;

Si stima che un’industria tessile di medie dimensioni (circa 8000kg di tessuto al giorno) consumi circa 1,6 milioni di litri di acqua al giorno.

Dati alla mano si stima che ben il 16% di questa venga consumata nella tintura e l’8% nella stampa. E’ bene sapere che i processi di tintura contribuiscono tra il 15 ed il 20% del flusso totale di acque reflue, ecco perché questo processo viene considerato tra i più inquinanti al mondo tra tutte le industrie presenti nel mercato globale.

Suggerimento: oggi possibile tingere riducendo al minimo l'impatto ambientale grazie alla tecnologia Dry Dye oppure con l'ausilio delle particelle carrier

L’acqua però, è necessaria anche per lavare il tessuto ed il filato una volta tinti e stampati, soprattutto per ottenere la solidità dei coloranti. Agenti di lavaggio come la soda caustica e saponi a base di enzimi sono utilizzati a tale scopo. E’ altrettanto necessaria per pulire macchine da stampa, telai e vasi di tintura.

Come già accennato, le industrie tessili scaricano milioni di litri di questi effluenti nei fiumi, effluenti che sono ricchi di rifiuti tossici pericolosi:

Sostanze tossiche nell'industria tessile

Zolfo, tino, coloranti, nitrati, acido acetico, saponi, cromo, composti e metalli pesanti come rame, arsenico, piombo, cadmio, mercurio, nichel, ed il cobalto, oltre ad alcuni prodotti chimici ausiliari, la formaldeide, ammorbidenti a base di idrocarburi, finissanti, il tutto condito da un’alta temperatura ed un alto pH dell’acqua, vengono tranquillamente scaricati in fiumi o mari.

Suggerimento: leggi questo articolo per scoprire di più sulle sostanze tossiche utilizzate nel tessile

Questa miscela di sostanze tossiche, insieme ai colori e alla schiuma oleosa formatasi, aumenta la torbidità dell’acqua, ciò interferisce anche con il meccanismo di trasferimento dell’ossigeno tra aria e acqua, oltre che compromettere in modo irreparabili fauna e flora di questi luoghi.

Il flusso d’acqua dei fiumi viene poi utilizzato nei campi agricoli, il che si traduce prima in prodotti contaminati ancor prima di svilupparsi, e successivamente ad una perdita di produttività del suolo.

Ci sono prove che dimostrano come le acque reflue che confluiscono negli scarichi corrodano le tubazioni fognarie, influiscano pesantemente sulla qualità dell’acqua potabile e siano terreno fertile per la diffusione di batteri e virus.

Il programma STWI può ridurre il consumo di acqua dell’industria tessile

I risultati dei programma Sweden Textile Water Initiative sono senza alcun dubbio notevoli, non solo per ridurre il consumo idrico dell’industria tessile, ma come vedremo dai numeri che seguono ha fatto molto di più raggiungendo diversi obiettivi legati all’agenda 2030:

Agenda 2030 obiettivo 6
Obiettivi raggiunti:
  • 11 milioni di metri cubi di risparmio idrico totale
  • Corrisponde al fabbisogno giornaliero di 220 milioni di persone
  • Corrisponde al fabbisogno annuo di 0,6 milioni di persone
Agenda 2030 obiettivo 7
Obiettivi raggiunti:
  • Consumo di elettricità ridotto di 79 milioni di KwH
  • Consumo di gas ridotto di 31 milioni di metri cubi
  • Utilizzo di carburante fossile ridotto di 705.309 tonnellate
  • Emissioni di gas serra ridotte di 464.766 tonnellate
Agenda 2030 obiettivo 12
Obiettivi raggiunti:
  • Uso chimico ridotto di 24 milioni di kg
  • 2.083 progetti completati durante il programma
  • Il 100% delle fabbriche hanno migliorato il loro Sistema di Gestione Ambientale
Agenda 2030 obiettivo 17
Obiettivi raggiunti:
  • 5 Paesi (Bangladesh, Cina, Etiopia, India e Turchia)
  • 276 fabbriche coinvolte nel programma
  • 13 marchi con stabilimenti nel programma
  • 19 marchi aggiuntivi nella rete STWI
  • Partnership con gli stakeholder locali
  • Partnership con SIDA
Agenda 2030 obiettivo 8
Obiettivi raggiunti:
  • 37.454 lavoratori formati attraverso sessioni di sensibilizzazione nelle fabbriche
  • 1367 dirigenti di gestione formati sull’efficienza energetica e idrica, e sulla gestione chimica
  • 412.283.545 SEK (corona svedese) investiti dalle fabbriche in progetti a lungo termine
  • 325.109.944 SEK risparmiati dalle fabbriche nei costi operativi
  • Progetti a ROI entro 15-18 mesi (ritorno dell’investimento)

Ci auguriamo quindi che possano continuare a lavorare sotto questo punto di vista, ed anche che possano nascere altri progetti utili e ambiziosi come questo.

L’impatto dell’industria tessile sui cambiamenti climatici

Siamo tutti coscienti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici, sia noi comuni mortali sia chi ci governa; l’attenzione dei media è rivolta soprattutto ai mezzi di trasporto e ai combustibili fossili, ritenute le prime cause del problema.

Pur sapendo che l’industria tessile è tra le più inquinanti al mondo, nonché il 5° contributore in ordine di “importanza” per emissioni di CO2, spesso viene totalmente ignorata.

L’anidride carbonica è uno dei principali GAS serra, cattura il calore del sole impedendogli di tornare da dove è venuto (lo spazio), contribuendo così al riscaldamento globale.

Purtroppo non abbiamo grandi dati statistici riguardo l’impatto dell’industria tessile sui cambiamenti climatici, mostreremo quindi quelli che abbiamo trovato pur essendo di qualche anno fa e riguardanti soprattutto il suolo degli Stati Uniti, con la consapevolezza che questi siano di gran lunga peggiorati in questi ultimi anni.

Impatto dei tessuti sintetici e naturali sui cambiamenti climatici

Se non conosci la differenza tra tessuti naturali, artificiali e sintetici ti consigliamo  di leggere questo articolo.

A discapito di quel che si possa pensare, anche le fibre naturali hanno il loro impatto, pur essendo mediamente inferiore a quelle sintetiche. La preparazione del campo, la semina, l’irrigazione, la raccolta meccanica, l’uso di letame o ancor peggio l’uso di sostanze chimiche come erbicidi, fertilizzanti, pesticidi.

Soprattutto queste ultime hanno un impatto notevole in termini di emissioni di CO2: per produrre 1 tonnellata di fertilizzante si stima che vengano emessi in atmosfera circa 7 tonnellate di gas serra. E’ una statistica interessante, ma anche un numero che lascia il tempo che trova, poiché sarebbero da valutare decine se non centinaia di variabili a partire “dall’attenzione ambientale” riposta dall’azienda produttrice.

Quando parliamo di fibre sintetiche la situazione diventa drammatica, essendo prodotte da combustibili fossili. Quantità spropositate di energia vengono utilizzate nell’estrazione del petrolio dal terreno, così come nella produzione dei polimeri.

Abbiamo letto questo studio condotto dallo Stockholm Environment Institute, il quale conclude che l’energia utilizzata (e quindi la CO2 emessa) per creare 1 tonnellata di fibra sintetica è molto più alta rispetto alla produzione della stessa quantità di fibra naturale estratta da cotone e canapa.

Questa semplice tabella mostra i KG di emissioni di CO2 per tonnellata di fibra filata:

MaterialeColtivazioneProduzioneTotale CO2
Poliestere09.529.52
Cotone4.21.75.9
Canapa1.92.154.05
Cotone organico0.91.452.35

Come vedete le emissioni prodotte da una fibra sintetica come il poliestere sono quasi il doppio rispetto al cotone, che ricordiamo essere la fibra naturale con il maggior impatto ambientale (essendo coltivata in modo intensivo).

Molto diverso il discorso per il cotone biologico, che ha un impatto decisamente inferiore rispetto ad altri materiali.

Teniamo anche presente che non esiste solo il poliestere come fibra sintetica, e che questa pur essendo la più diffusa non è la più inquinante. Ad esempio si stima che la fibra di acrilico abbia un 30% di emissioni di CO2 in più rispetto al poliestere, e che il nylon sia addirittura superiore. Quest’ultimo emette nell’atmosfera anche i gas N20, i quali sono 300 volte più dannosi della CO2.

Adesso vediamo un’altra tabella interessante, cioè il consumo di energia nella produzione di 1 KG di fibre:

MaterialeChilowattora (kWh)
Cotone15
Lana17
Viscosa27
Polypropylene31
Poliestere34
Acrilico48
Nylon70

Per darvi un’idea più chiara di questi numeri, sappiate che un lavaggio in lavatrice di ultima generazione con acqua a 90° consuma circa 1,9 kWh. Questo vuol dire che produrre 1 KG di nylon equivale al consumo energetico di 35 lavaggi in lavatrice a 90°.

Questi dati evidenziano come una fibra naturale abbia un impatto decisamente inferiore rispetto alle fibre sintetiche, sia sotto il profilo delle emissioni di CO2, sia come consumo di energia. Oltre questo, le fibre naturali offrono altri vantaggi utili per combattere i cambiamenti climatici causati dall’industria tessile:

  • Sono biodegradabili e migliorano la struttura del suolo (quantomeno quando non sono cariche di sostanze tossiche); le fibre sintetiche non si decompongono, rilasciando metalli pesanti e altri additivi nel suolo e nelle acque sotterranee (poiché spesso gli indumenti finiscono nelle discariche).
  • Sono riciclabili, anche se la loro resa non è ancora sufficiente per definirlo un riciclo al 100%; il riciclo delle fibre sintetiche richiede una costosa separazione, mentre l’incenerimento produce sostanze inquinanti.
  • Assorbono la CO2. Ad esempio la juta assorbe 2,4 tonnellate di anidride carbonica per tonnellata di fibra secca (fotosintesi clorofilliana).
Fotosintesi clorifilliana delle piante


Le fibre naturali provengono dalle piante e sin dalla scuola primaria ci insegnano quanto queste siano importanti per la nostra stessa sopravvivenza.

Immaginiamo quindi se la coltivazione di queste piante seguisse gli standard dell’agricoltura biologica anziché di quella intensiva, darebbe ancora più valore alle nostre parole: l’agricoltura biologica può infatti garantire una serie di benefici ambientali, sociali e sanitari.

Agricoltura biologica, industria tessile e cambiamenti climatici

Possiamo affermare che l’agricoltura biologica riduce l’impatto dell’industria tessile sui cambiamenti climatici perché:

  • Risparmia il 63% di energia nella produzione;
  • Riduce del 43% le emissioni di gas serra durante la produzione;
  • Ogni ettaro di terreno coltivato sequestra tra 100 e 400kg di carbonio all’anno. Questo contribuisce e ridurre ulteriormente i gas serra immessi nell’atmosfera.

Il sequestro del carbonio è fondamentale per ridurre il riscaldamento globale, la chiave sta nella manipolazione della materia organica (OM): il 60% della sostanza organica presente nel suolo è composta da carbonio organico, ne conseguenza che maggiore sarà la sua presenza, maggiore sarà la presenza di materia organica (fonte di vita).

Mentre l’agricoltura biologica costruisce solide fondamenta per la vita delle piante, l’agricoltura intensiva è famosa per esaurire rapidamente tutte le risorse disponibili, compensando poi con il massiccio uso di sostanze chimiche.

L’industria tessile occupa gran parte dei terreni coltivabili, ma certamente l’industria alimentare è un passo avanti in quanto ad ettari occupati. L’agricoltura biologica è uno strumento sottovalutato nella guerra contro i cambiamenti climatici, ma potrebbe essere una potente arma da utilizzare per vincere la guerra:

  • Esclude l’uso di fertilizzanti sintetici, pesticidi e organismi geneticamente modificati (OGM), migliorando la salute umana e la biodiversità;
  • Conserva e mantiene pulita l’acqua, riducendo le esigenze di irrigazione e l’erosione, nonché offrendo fonte di vita (acqua potabile) alle popolazioni del luogo;
  • Sequestra il carbonio atmosferico come fanno le foreste, ma sono meno vulnerabili al disboscamento e agli incendi, così possono mantenerlo più a lungo nel terreno (riducendo i gas serra ed il riscaldamento globale).

C’è un problema di “resa” con l’agricoltura biologica, nel senso che a parità di terreno coltivato offre meno materia prima/frutti, motivo per cui viene attaccato da coloro che non la vedono come una soluzione, ma sono certo che non sia questo il vero problema, bensì i soliti vantaggi economici delle grandi multinazionali che guadagnano miliardi vendendo sostanze chimiche.

Il problema della resa per ettaro si può risolvere, ma quello economico sarà molto più difficile da affrontare.

Come ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile?

Come possiamo uscire da questa fase che si preannuncia sempre più difficile e complessa?

Il futuro potrebbe essere il nostro passato. Ogni ambito d’espressione ha sempre attinto al passato per trovare nuova energia e nuovo slancio (anche creativo), capire cosa è stato fatto per capire come siamo fatti e far nascere nuove soluzioni.

La nuova strategia dell’Unione Europea mira prima di tutto ad affrontare i problemi dei rifiuti prodotti dal settore tessile, fornendo linee guida per raggiungere livelli elevati di raccolta differenziata.

In base alla direttiva sui rifiuti approvata dal Parlamento nel 2018, i paesi dell’UE saranno obbligati a raccogliere separatamente i tessili entro il 2025.

La nuova strategia della Commissione Europera include anche misure per sostenere materiali e processi produttivi circolari, affrontare la presenza di sostanze chimiche pericolose (migliorando la normativa REACH) e aiutare i consumatori nella scelta di tessili più sostenibili.

L’UE ha una certificazione chiamata Ecolabel UE assegnata ai produttori che rispettano determinati criteri ecologici e che possono applicare ai loro prodotti, garantendo un uso limitato di sostanze nocive e una riduzione dell’inquinamento idrico e atmosferico.

Ha anche introdotto alcune misure per mitigare l’impatto dei rifiuti tessili sull’ambiente.

Horizon 2020 (un programma di finanziamento creato dalla Commissione europea) finanzia il progetto RESYNTEX -di cui abbiamo parlato in questo articolo– un progetto davvero all’avanguardia che utilizza il riciclo chimico anziché meccanico, e che potrebbe fornire un modello di business fondato sull’economia circolare all’industria tessile globale.

Un enorme potenziale per rilanciare l’economia.

“L’Europa si trova in una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, che rivela la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento globali”, ha affermato l’eurodeputato capo Huitema.

“Stimolare nuovi modelli di business innovativi creerà a sua volta una nuova crescita economica e le opportunità di lavoro di cui l’Europa avrà bisogno per recuperare”

Per affrontare con decisione l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente, l’Unione Europea vuole accelerare il passaggio all’economia circolare.

Nel marzo 2020, la Commissione Europea ha adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, questo piano include una strategia dell’UE dedicata proprio al nostro settore. Il piano è volto a stimolare l’innovazione e/o promuovere il riutilizzo all’interno del settore tessile.

Nel febbraio 2021, il Parlamento ha adottato una risoluzione sul nuovo piano d’azione per l’economia circolare che richiede misure aggiuntive per raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, ecologicamente sostenibile, priva di sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.

Queste misure aggiuntive, da raggiungere entro il 2030, comprendono:

  • Norme per il riciclo più severe;
  • Obiettivi vincolanti per l’uso dei materiali;
  • Vincoli per il consumo di risorse (soprattutto idriche ed energetiche);

Per quanto ci riguarda, anche un’approccio più emotivo potrebbe essere d’aiuto:

Rivalutare le tradizioni produttive e stilistiche, ritornare alla scoperta delle produzioni locali con filiere corte, ricreare e ridare vita alle corporazioni di settore (ma in forma locale), riavvicinare il mondo della scuola a quello dell’impresa.

Alzare il livello qualitativo, ridando nuova vita all’antico “Made in Italy” (quello moderno è solo un surrogato di quello che realmente era). Una ricetta fatta di semplici e ben noti ingredienti, che ci permetterebbe di tornare a riproporci ai mercati internazionali con le nostre antiche “icone” che hanno sempre contraddistinto le produzioni del vecchio e stanco stivale italico.

Rivalutare le materie prime naturali locali, arricchendole magari di essenze che la natura ci regala quotidianamente; approfondire la ricerca sulle tinture con coloranti naturali; accorciare le filiere per diminuire i costi e l’inquinamento; coinvolgere le comunità locali con azioni sociali di reale supporto (e non pulirsi la coscienza con semplici donazioni); aprire le porte delle aziende verso gli studenti (facendoli appassionare delle tradizioni tessili); supportare le associazioni di settore e che divulgano.

Ma soprattutto, riportare la cultura antica al centro delle conoscenze.

Aumentare le competenze per riportare l’essere umano al centro di questo nuovo universo. Non lasciamoci sopraffare dalla modernità e dalla tecnologia ma, impariamo invece ad usarla con cura e attenzione, senza mai renderci servi: è la tecnologia al nostro servizio, non il contrario.

Zero emissioni di carbonio entro il 2050 per l’industria tessile

Zero emissioni è un obiettivo decisamente ambizioso per l’industria tessile, anche parliamo comunque di quasi 30 anni di tempo, ma i cambiamenti climatici sono un problema da affrontare oggi stesso e, essendo l’industria tessile tra le più inquinanti al mondo, è allo stesso tempo una delle prime responsabili di tali cambiamenti.

Quindi ci chiediamo: perché far passare tutto questo tempo?

Le nuove misure aggiunte nel 2021 aiutano nel tagliare i tempi, visto che impostano il traguardo al 2030, ma cosa accadrà se i grandi marchi di moda, magari di comune accordo, non li raggiungessero? La prima cosa che ci viene in mente, e che abbiamo visto più e più volte, è la magica parola “proroga”.

Ad ogni modo, come parte delle proposte, i deputati hanno chiesto al settore tessile nuove misure contro la perdita di microfibra e standard più severi sull’uso dell’acqua.

“I principi di circolarità devono essere implementati in tutte le fasi di una catena del valore per rendere l’economia circolare un successo. Dalla progettazione alla produzione, fino al consumatore.” ha affermato Jan Huitema di Renew Europe.

Concordiamo pienamente. E’ infatti da tempo che affermiamo come tanti brand si stiano focalizzando sull’uso di materiali a basso impatto ambientale, ma pochi si sforzano nel comprendere che la maggior parte di questi materiali, una volta trattati chimicamente, non saranno più riciclabili, il che vuol dire che anch’essi, come i materiali “meno ecologici”, finiranno nella raccolta indifferenziata, in discarica, e successivamente negli inceneritori.

Pensate quindi che l’uso di questi materiali riciclati, magari derivati dalla moda del momento (vedi AppleSkin, Vegea, Piñatex, Malai, Fruitleather, Mylo) possa essere la soluzione al problema? pur non essendo materiali riciclabili o biodegradabili?

Ovviamente non sono la soluzione, ma forse possiamo considerarli come parte della transizione ecologica del settore tessile.

Guarda il comunicato ufficiale dell’Unione Europea

Logo vesti la natura in cerchio

Siamo un'associazione no-profit impegnata dal 2016 nella promozione di una moda più etica e sostenibile.

Ti è piaciuto il contenuto? Condividi!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Freccia verso il basso

Vuoi acquistare prodotti sostenibili?

Trova la Moda Sostenibile Online o nella Tua Città con ...

icona blog

Leggi altre notizie

Le ultime news su moda, eventi e ambiente

Le emissioni di Co2 di Zalando dal 2017 al 2021
Marchi di Moda

La crescita delle Emissioni di Co2 di Zalando

Quanta Co2 emette Zalando? Anno Emissioni dirette Emissioni energetiche (indirette) Emissioni indirette Totale emissioni Co2 Variazione (+/-%) 2017 4.935 21.290 2.607.887 2.634.112 – 2018 5.701 1.678 3.331.724 3.339.103 +26.77% 2019

Continua a leggere

Scarica la Guida alla Moda Sostenibile, Etica e Cruelty Free

Unisciti a oltre 15 mila utenti che l’hanno già letta dal 2016 ad oggi!

  • è in formato digitale
  • c’è un video da vedere
  • e tante infografiche di confronto
Secured By miniOrange